Conoscete il Progetto IBI/BEI? Si tratta di un progetto di istruzione bilingue di cui vogliamo scrivere da molto tempo. Quale miglior occasione se non quella di realizzare un’intervista con una delle pioniere di questo progetto in Italia? Abbiamo avuto modo di conoscere l’insegnante Silvana Daniele durante un recente corso di formazione. Non abbiamo saputo resistere alla tentazione. Lei ha risposto in modo esaustivo alle nostre domande, spalancando davanti a noi le porte di un mondo quasi utopico. Però no, non è solo un’illusione. Siete pronti? Lascio la parola a lei e al suo contagioso entusiasmo.
Buongiorno, puoi descriverci chi sei, qual è il tuo ruolo nella scuola e nel progetto IBI/ BEI?
Buongiorno a voi, mi chiamo Silvana Daniele e sono una docente di scuola primaria che da otto anni contribuisce a sviluppare un progetto di bilinguismo in lingua inglese nella scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Teodoro Ciresola di Milano, che è una delle sei scuole che hanno aderito e realizzato con successo la sperimentazione IBI/BEI proposta dal MIUR nel 2010.
Puoi raccontarci brevemente in cosa consiste questo progetto?
Iniziamo dall’acronimo IBI/BEI che corrisponde a Istruzione Bilingue Italia/Bilingual Education Italy. Si tratta di un progetto pilota di istruzione bilingue di durata quinquennale rivolto a bambini della scuola primaria a partire dall’anno scolastico 2010/11 e fino al 2014/15. Questo vuol dire che, alla fine del quinquennio indicato, il progetto cessa di essere sperimentale ma prosegue integrato a pieno titolo nel Piano dell’Offerta Formativa dei sei Istituti scolastici che hanno aderito all’iniziativa, i quali nascono e si costituiscono come scuole di rete IBI/BEI.
L’insegnamento bilingue precoce si pone come obiettivo quello di far acquisire agli alunni competenze disciplinari e promuovere contemporaneamente un importante e progressivo potenziamento delle abilità linguistico-comunicative nella lingua veicolare.
Nella specificità del progetto, l’insegnamento/apprendimento dell’intero curricolo di due discipline non linguistiche, Scienze e Geografia a cui trasversalmente si unisce Arte, vengono veicolate attraverso la lingua inglese a partire dalla classe prima e fino alla classe quinta della scuola primaria.
Come Istituto come siete venuti a conoscenza del progetto? Quali sono stati i requisiti di adesione?
Il progetto IBI/BEI nasce come progetto pilota di istruzione bilingue da un accordo siglato il 25 febbraio 2010 tra il MIUR – Direzione Generale per gli Ordinamenti e per l’Autonomia Scolastica, l’Ufficio Scolastico Regionale della Lombardia e il British Council Italia, conseguentemente a uno studio di fattibilità per l’Italia, finanziato dal British Council, che ha interessato diverse regioni italiane (Lombardia, Sardegna , Umbria) e si è concluso nel 2009. Di fatto, il progetto prende avvio in sole sei scuole della Lombardia, selezionate su 42 che avevano presentato richiesta, che hanno dimostrato di avere i requisiti, la capacità e la volontà dei singoli docenti coinvolti a dare vita a un progetto di istruzione bilingue.
Le scuole aderenti hanno dovuto impegnarsi a garantire l’approvazione e accettazione del progetto da parte del Collegio dei docenti e a rispettare i criteri dettati dal MIUR tra cui: assicurare la presenza di docenti con una competenza linguistica almeno di livello B2 del QCER, implementare il 25% dell’intero curricolo in lingua inglese, scegliendo di insegnare almeno due materie tra Scienze, Geografia e Arte in inglese, oltre alla literacy (letto-scrittura in lingua inglese), e dedicare un monte ore settimanale di non meno di 6/7 ore allo svolgimento del progetto.
Nella pratica quotidiana come si concretizza il lavoro della classe? Quali sono le metodologie didattiche utilizzate?
Per rispondere a questa domanda è necessario fare una premessa. Prima di iniziare il progetto IBI/BEI, i docenti pionieri, intendo dire quelli che hanno iniziato la sperimentazione e l’hanno portata a conclusione, sono stati inseriti in un programma di formazione linguistica e metodologica. La formazione è stata curata dal British Council e dall’USR Lombardia, sui testi dei maggiori specialisti dell’approccio metodologico CLIL (Content and Language Integrated Learning) e con la presentazione di attività già sperimentate in altri paesi, quali la Spagna, dove il BEP (Bilingual Education Spain) era già in corso dal 1996. Come è facile intuire, l’approccio metodologico di riferimento nella pratica dell’istruzione bilingue è il CLIL, che propone un insegnamento/apprendimento integrato di contenuti disciplinari veicolati per mezzo di una lingua seconda o straniera. Le strategie di intervento tipiche del BEI si basano sulle più moderne tecniche di apprendimento quali il cooperative learning, il peer tutoring, il learning by doing, il Total Physical Response a cui vengono associate attività di story-telling, finalizzate a introdurre i contenuti disciplinari in una modalità divertente, accattivante, coinvolgente e più accessibile ai bambini.
Come hanno reagito al progetto gli alunni e i genitori? E i colleghi?
Nella fase inziale del progetto i dubbi da parte dei genitori, ma in generale di tutti gli stakeholder (i soggetti coinvolti nel progetto) erano tanti. Anche noi come docenti pionieri non eravamo del tutto consapevoli dei risultati che avremmo conseguito. Comprendevamo la bontà del progetto e soprattutto prevedevamo le ottime ricadute di un accostamento precoce alla lingua inglese sui nostri alunni. Di contro, abbiamo dovuto fronteggiare, tra le tante difficoltà che si presentavano, anche la riluttanza di una parte di colleghi che opponeva resistenza verso questa proposta didattica alquanto innovativa. Alla luce di quanto accaduto, credo che il fatto di essere riusciti a portare a casa degli ottimi risultati sia dipeso anche e soprattutto dall’affiatato lavoro di squadra: ho avuto il piacere e la fortuna di lavorare in team con due fantastiche persone oltre che colleghe che meritano di essere citate, Letizia Maria Fossati e Maria Pia Fabbri, a cui sono legata da una grande stima professionale che nel corso degli anni si è trasformata in una profonda amicizia.
Se dovessi indicare con una percentuale le competenze linguistiche e quelle metodologico/didattiche nella preparazione di un docente per la buona riuscita del progetto che valore assegneresti a ciascuna delle due tipologie?
Onestamente, credo che entrambe le competenze siano importanti. La competenza linguistica è una conditio sine qua non, perché è necessario padroneggiare bene la lingua inglese e integrarla con la conoscenza della microlingua disciplinare per poter gestire la trattazione dei contenuti. Per il progetto IBI/BEI il livello richiesto è il B2 in riferimento al Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER).
D’altra parte, la competenza metodologica assume un ruolo chiave, importantissimo per la buona riuscita di un progetto bilingue. Precedentemente, ho accennato alla metodologia CLIL che è parte integrante del progetto. Fare didattica utilizzando la metodologia CLIL presuppone una seria formazione di base. Una lezione CLIL non si ferma alla sola trasposizione di un contenuto/argomento disciplinare in una lingua straniera veicolare. Essa va progettata minuziosamente attraverso un “Lesson plan” che deve contenere gli elementi essenziali che non devono mai mancare in un lavoro di progettazione.
In ogni caso, la metodologia deve essere piuttosto ludica, coinvolgente, partecipata, deve motivare gli alunni attraverso la proposta di attività significative che incontrino il loro interesse, perché i bambini devono capire l’importanza di ciò che viene loro proposto per prendervi parte.
A scopo esaustivo e per ulteriori approfondimenti sull’argomento rimando a due pubblicazioni “La GuidAgenda CLIL” di 4 e 5 della casa editrice Gaia Edizioni, di cui sono autrice insieme alla collega Letizia Maria Fossati.
Il progetto BEI è certamente molto corposo e impegnativo, sapresti quantificare il monte ore giornaliero di progettazione che si richiede ad un insegnante?
Come ho già detto, nell’affrontare questo importante impegno, il mio team non si è risparmiato. Abbiamo svolto un lavoro di squadra, oneroso, che per cinque anni ha impegnato anche i nostri weekend, con conseguenti ricadute sulle nostre famiglie. Il primo anno della sperimentazione, tutte noi facevamo tutto. Poi, andando avanti abbiamo organizzato sinergicamente il lavoro dividendoci i compiti.
Nel dibattito attuale legato al CLIL uno dei nodi problematici è legato all’insegnamento di una disciplina o di un argomento solo in lingua straniera. Alcuni credono che in questo modo si perda l’apprendimento del linguaggio specifico disciplinare in lingua madre. Cosa ne pensi?
Rispondo in modo molto determinato, perché convinta di quello che sto per dire. Non c’è alcuna perdita nei contenuti e nel lessico specifico disciplinare in lingua madre. Gli argomenti disciplinari che si intende presentare in inglese attraverso l’approccio CLIL non vanno assolutamente anticipati e tradotti in italiano per facilitarne la comprensione. Si andrebbe a snaturare quello che è il senso di tale proposta metodologica.
E’ l’esperienza che mi consente di essere così sicura di ciò che affermo. Il primo anno che abbiamo iniziato il progetto, uno dei dubbi dei genitori era proprio la preoccupazione che i loro bambini avrebbero perso nell’apprendimento dei contenuti e del lessico specifico disciplinare in italiano. Si sono dovuti ricredere. Vi faccio un esempio: se durante una lezione di geografia veicolata in inglese, l’insegnante parlando del Tevere lo chiama “Tiber”, indicandolo sulla mappa proiettata alla LIM, e aggiunge che questo è un fiume italiano importante che attraversa “the capital city of Italy, Rome …” e dopo qualche frazione di secondi sente uno dei suoi alunni che fa la traduzione simultanea in italiano di quanto ha appena affermato, mi spiegate cosa è accaduto? Semplicemente che tutti i bambini della classe stanno usufruendo dell’intuizione di un proprio compagno, imparando a denominare il Tevere sia in italiano che in inglese e non solo. Essi stanno rendendo significativo il loro apprendimento, perché stanno imparando a utilizzare la lingua inglese per apprendere dei contenuti e nello stesso tempo potenziano l’apprendimento della stessa. L’insegnante non ha motivo di spiegare i concetti anche in italiano, perché ricorrendo a strategie adeguate e avvalendosi del supporto di molte immagini e schemi, assicura il passaggio e la comprensione dei contenuti. Una delle figure più autorevoli nel campo del CLIL, quale è David Marsh, ci regala questa definizione molto chiara del CLIL: “Content and language integrated learning (CLIL) is a dual‐focused educational approach in which an additional language is used for the learning and teaching of both content and language.” Si intuisce, dunque, che nel processo di apprendimento/insegnamento in chiave CLIL il focus è duplice, poiché è sia sul contenuto che sulla lingua veicolare. Ciò che è emerso nel passaggio dei nostri alunni alla scuola secondaria di primo grado è stato che essi avevano acquisito un livello linguistico A2 (QCER), equiparabile a quello in uscita dalla terza media, e che rispetto ai pari che avevano seguito un percorso di studi “tradizionale” i contenuti disciplinari da essi acquisiti risultavano più approfonditi.
Credi che alla lunga l’apprendimento della lingua straniera possa trarre dei benefici dal progetto? Lo consiglieresti?
L’apprendimento di una lingua straniera, come già detto, trae dei grossi benefici dal progetto BEI. Sarebbe auspicabile che il progetto fosse proposto ancora più precocemente e cioè nella scuola dell’infanzia, così come avviene in Spagna.
Puoi indicarci i punti di forza e di debolezza, le opportunità e i rischi/pericoli del progetto?
Allo stato attuale è ancora possibile aderire al progetto? Se sì, come?
Il progetto IBI/BEI, sebbene continui a essere attuato nella scuola primaria dei sei Istituti Scolastici che hanno aderito alla sperimentazione, si è ufficialmente concluso nell’anno scolastico 2014/2015. Anche il progetto Eccellenza CLIL, che ha permesso la prosecuzione nella scuola secondaria di primo grado dell’esperienza maturata nella scuola primaria, si è concluso alla fine di quest’anno scolastico con ottimi risultati.
Allo stato attuale, le sei scuole di rete, denominate scuole BEI/Eccellenza CLIL, che continuano a portare avanti l’esperienza formativa bilingue, hanno aperto ad altri Istituti scolastici giungendo a costituire una rete di 20 scuole. Tutto ciò è stato possibile attraverso un’ufficiale regolamentazione da parte dell’USR della Lombardia che è intervenuto al fine di favorire il più possibile la diffusione e lo sprigionamento di buone pratiche innovative in campo didattico-educativo. Chiaramente, entrare a far parte di questa rete di scuole presuppone il possesso di determinati requisiti.
Vorrei concludere questa intervista affermando che il progetto IBI/BEI è stato e continua a essere “a breath of fresh air” ossia una boccata d’ossigeno per la scuola pubblica italiana.
Sono convinta che per conseguire dei buoni risultati nella nostra professione bisogna avere il coraggio di mettersi continuamente in gioco, di osare. Io l’ho fatto e continuo a desiderare di sperimentare sempre nuove strade per tenere accesa la passione per il mio lavoro e rendere la mia didattica piacevole e interessante ai miei alunni.
Non voglio aggiungere altro poiché credo che le parole di Silvana abbiano sapientemente raccontato il progetto e le sue diverse sfaccettature. A me è venuta voglia di fare parte di questo mondo. E a voi?
Vi lascio alcuni link per per approfondire:
Rapporto di monitoraggio Università di Modena e Reggio Emilia
Sintesi del rapporto di monitoraggio – British Council
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